Cass. pen., Sez. III, Sent. 28 marzo 2022 (ud. 4 febbraio 2022), n. 11087
“Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge o dallo statuto, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie o del comitato esecutivo o attribuite in concreto ad uno o più di essi, così come ribadisce specificamente per il consiglio di amministrazione l’art. 2381, secondo comma, cod. civ”.
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IL CASO
La vicenda che ha interessato la Corte di Cassazione ha origine con l’ordinanza con cui il Tribunale del riesame di Firenze confermava il decreto di sequestro preventivo emesso in data 16.10.2020 dal G.i.p. di Firenze nei confronti di un membro del CdA di una SpA a cui veniva contestato il reato di cui all’art.2 D.Lgs. n.74/2000, per aver, in concorso con altri soggetti, registrato ed utilizzato fatture per operazioni inesistenti.
Avverso l’ordinanza il ricorrente proponeva ricorso per Cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
In particolare, con il primo motivo, il difensore deduceva il vizio di motivazione apparente in quanto eseguita per relationem con conseguente violazione degli artt. 292 e 309, c.p.p. e carenza assoluta del fumus per insussistenza degli elementi indiziari contestati all’indagato, e correlativa mancanza dell’elemento soggettivo ed assenza di motivazione in ordine alla sussistenza del dolo.
In altri termini, il difensore censura l’ordinanza laddove il Tribunale aveva ritenuto: “sussistere il fumus del reato ipotizzato senza indicare gli indizi relativi alla conoscenza od alla conoscibilità da parte del ricorrente del disegno criminoso ipotizzato, non essendo assolutamente sufficiente il richiamo offerto dai giudici del riesame, consistente nella sola condizione soggettiva della carica di consigliere assunta dal ricorrente”.
A detta della difesa, a seguito della riforma dell’art. 2392 c.c., è stato eliminato in capo ai semplici componenti del C.d.A. l’obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione, proprio al fine di evitare che in capo agli amministratori non operativi si potessero addebitare rilievi sul canone della responsabilità oggettiva.
Con il secondo motivo di ricorso, il difensore deduceva di violazione di legge in relazione agli artt. 292 e 309, c.p.p., e correlato vizio di motivazione e motivazione apparente essendo la motivazione unicamente eseguita per relationem. Invero, veniva censurata l’ordinanza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto che “nei reati tributari il limite all’espropriazione immobiliare previsto dall’art. 76, d.P.R. n. 602/1973, opera solo nei confronti dell’Erario per debiti tributari, non costituendo limite né all’adozione della confisca penale né al sequestro preventivo ad essa funzionale”. Con ciò, sostenendo che l’indagato avrebbe dato prova che l’immobile sottoposto a sequestro era l’unica e prima casa adibita a residenza familiare.
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La decisione
Il ricorso veniva dichiarato inammissibile in quanto la Corte ha ritenuto che la: “censura afferente all’insussistenza del fumus del reato tributario per la non corretta applicazione dell’art. 2392 cod. civ. non ha pregio in questa sede, non solo perché la stessa è intempestiva (considerato che a venire in rilievo in questa sede non è la gravità indiziaria, come invece avviene nei provvedimenti cautelari personali, quanto piuttosto, la configurabilità del fumus del reato ipotizzato), ma perché la stessa articolazione del motivo rende evidente la non pertinenza al caso di specie della doglianza mossa, come già rilevato da questa Corte nel parallelo procedimento impugnatorio proposto dalla coindagata, deciso da questa stessa Sezione con la sentenza n. 30689/2021 ed originato dall’impugnazione della medesima ordinanza cautelare, i cui principi vanno integralmente ribaditi in questa sede.”
La pronuncia, tuttavia, è stata l’occasione per i giudici di legittimità per ritornare a riflettere sui presupposti ed i confini della responsabilità del consigliere non esecutivo nell’ambito dei reati tributari.
Il Supremo Collegio ha sottolineato come: “l’art. 2392 cod. civ., norma che regola la posizione di garanzia degli amministratori all’interno delle S.p.A., dispone che questi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge o dallo statuto, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie o del comitato esecutivo o attribuite in concreto ad uno o più di essi, così come ribadisce specificamente per il consiglio di amministrazione l’art. 2381, secondo comma, cod. civ.” E ancora: “dovendosi perciò distinguere l’ipotesi in cui il consiglio di amministrazione operi con o senza deleghe, deriva dal suddetto assetto normativo che, a meno che l’atto non rientri nelle attribuzioni delegate al comitato esecutivo o taluno dei consiglieri che ne sono parte, tutti i componenti del consiglio di amministrazione rispondano — salvo il meccanismo di esonero contemplato dal terzo comma dell’art. 2392 cod. civ. che prevede l’esternazione e l’annotazione dell’opinione in contrasto da parte del consigliere dissenziente nonché immune da colpa- degli illeciti deliberati dal consiglio anche se in fatto non decisi o compiuti da tutti i suoi componenti.”
Al contrario è diverso il caso in cui si sia in presenza di un’attribuzione di materie specifiche ad uno o più amministratori, ed invero, la Corte sottolinea come: “diversa è invece l’ipotesi in cui specifiche materie siano state attribuite ad uno o più amministratori, nel qual caso gli illeciti compiuti investono esclusivamente la responsabilità dei consiglieri ad esse delegati, salva in tal caso la responsabilità solidale dei consiglieri non operativi, ovverosia esenti da delega, in conseguenza non già della posizione di garanzia sancita dall’art. 2392, primo comma, cod. civ., bensì per effetto della violazione dolosa o colposa del dovere di informazione che grava, anche a seguito della riforma legislativa attuata con il d.lgs. 6/2003, sui singoli amministratori in ordine all’andamento della gestione sociale e sulle operazioni più significative che pone su costoro, in presenza di segnali di allarme, l’onere di attivarsi per assumere ulteriori informazioni rispetto a quelle fornitegli dagli organi delegati e di fare quanto nelle loro possibilità per impedire il compimento dell’atto pregiudizievole o eliderne le conseguenze dannose.”
Ed invero, l’art. 2381 c.c. stabilisce che sui componenti del Consiglio di Amministrazione grava l’obbligo di agire informati in relazione allo stato di gestione della società imponendo, in presenza di segnali di allarme, l’onere di attivarsi per assumere ulteriori informazioni rispetto a quelle fornitegli dagli organi delegati e di fare quanto nelle loro possibilità per impedire il compimento dell’atto pregiudizievole o eliderne le conseguenze dannose.
Pertanto, la Corte precisa che: “non vi è dubbio che la riforma del 2003 abbia alleggerito gli oneri e le responsabilità degli amministratori privi di deleghe, responsabili verso la società nei limiti delle attribuzioni proprie, quali stabilite dalla disciplina normativa, rimuovendo il generale obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione (già contemplato dall’articolo 2392 c.c., comma 2) e sostituendolo con l’onere di agire informato, atteso il dovere nell’ottica di una gestione informata di assumere informazioni sancito dall’articolo 2381 c.c., u.c., accompagnato dal potere di richiedere ulteriori informazioni (cfr. Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 20933 del 30/09/2009, Rv. 610513), ma trattasi di disposizioni applicabili in presenza di materie delegate o al comitato esecutivo o ad uno o più consiglieri”.
La conseguenza è che, a detta della Corte, la posizione dei ricorrenti secondo cui, l’interpretazione adottata dall’ordinanza impugnata era in contrasto con l’ordinamento vigente in cui “le disposizioni incriminatrici in tema di diritto penale societario si svuotano di contenuto laddove rivolte a soggetti che non si identifichino in un amministratore delegato, non colgono nel segno posto che ad esse non si accompagna la deduzione, sulla quale soltanto avrebbe potuto fondarsi l’invocata assenza di responsabilità (peraltro da prospettarsi non già nell’incidente cautelare di legittimità), che ad altri consiglieri fossero state attribuite specifiche deleghe in materia, per quanto qui rileva, di adempimenti fiscali-tributari limitandosi invece la difesa ad evidenziare che il (omissis) fosse privo di deleghe, circostanza questa già accertata dai giudici del riesame.”
Invero, “è solo per l’amministratore privo di delega che si pone il problema, quale necessario antecedente logico della posizione di garanzia, derivata dall’accettazione della carica in seno al consiglio di amministrazione, della “conoscibilità” delle determinazioni pregiudizievoli assunte dal o dai titolari della delega, occorrendo in tal caso segnare il limite operativo dell’art. 40, secondo comma, cod. pen. al fine di evitare di sovrapporlo ad una responsabilità di natura colposa, incompatibile con la lettera delle fattispecie incriminatrici, che configurando comportamenti modulati su consapevolezza dolosa, non consentono di addebitare all’autore di volontaria omissione, con argomentazione propria della colpa (e cioè con rimprovero di imperizia, o di negligenza, o di imprudenza), l’evento che egli ha l’obbligo giuridico di impedire.
Per tali ragioni, la pronuncia in commento conclude per l’applicabilità di tali principi anche nel caso sottoposto alla sua attenzione e viene così confermato il sequestro preventivo disposto.
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La giurisprudenza recente in materia di sicurezza sul lavoro
In conclusione, la Corte di Cassazione, ribadisce con fermezza il principio per cui in mancanza di deleghe in specifiche materie, tutti gli amministratori rispondono in solido per i reati commessi anche qualora non vi abbiano materialmente tutti preso parte: “in assenza di deleghe ad alcuno dei componenti del consiglio di amministrazione del Consorzio, deve (con giudizio rebus sic stantibus, proprio di questa fase cautelare) ritenersi gravante su tutti i consiglieri, come sopra rilevato, la responsabilità solidale per gli illeciti deliberati o posti essere dal consiglio di amministrazione, da riferirsi solidalmente a ciascuno di essi”.
È quanto sottolineato più volte dalla giurisprudenza della stessa corte in più pronunce, tra cui la n.7564/2020. Invero, anche in questa pronuncia, in materia di sicurezza sul lavoro, la corte ha affermato la solidale responsabilità degli amministratori senza deleghe, sottolineando come: “In primo luogo, la sentenza è viziata per erronea applicazione della legge penale, in quanto la posizione di garanzia di tale imputato è stata esclusa in considerazione dell’asserita assenza di una delega nei suoi confronti, avente ad oggetto la sicurezza sul lavoro, prescindendo dall’orientamento risalente e consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia (da ultimo, Sez. 4, n. 8118 del 01/02/2017 ud. – dep. 20/02/2017, Rv. 269133 – 01).E ancora, richiamando un’ulteriore consolidata giurisprudenza, la corte nel 2020, sottolineava come: “in tema di sicurezza e di igiene del lavoro, nelle società di capitali il datore di lavoro si identifica con i soggetti effettivamente titolari dei poteri decisionali e di spesa all’interno dell’azienda e, cioè, con i vertici dell’azienda stessa, ovvero col presidente del consiglio di amministrazione o amministratore delegato o componente del consiglio di amministrazione cui siano state attribuite le relative funzioni (Sez. 3, n. 12370 del 09/03/2005, Rv. 231076), con la conseguenza che “gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni, posti dalla legge a carico del datore di lavoro, gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione” (Sez. 4, n. 6280 del 11/12/2007, Rv. 238958).
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Conclusioni
In estrema sintesi, il quadro delineato dall’ultima giurisprudenza della corte di Cassazione, lascia emergere con chiarezza il significato da attribuire all’interpretazione congiunta degli artt. 2381,2392 e 2476 c.c. in quanto l’amministratore senza deleghe ha il dovere di richiedere e acquisire informazioni in sede consiliare sulla gestione delle attività aziendali, e qualora colga la presenza di campanelli d’allarme, ha il dovere di esprimere dissenso e attivarsi per impedire il compimento dell’illecito. In assenza di detti comportamenti, l’amministratore senza deleghe è responsabile anche penalmente come concorrente nei reati commessi a seguito di una delibera del Consiglio di Amministrazione.