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LA SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO EX D.LGS. 231/2001 E MESSA ALLA PROVA PER L’ENTE.

LA SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO EX D.LGS. 231/2001 E MESSA ALLA PROVA PER L’ENTE

Il caso trattato dal Tribunale di Bari, Sez. I, Ordinanza, 22 giugno 2022.

Il Tribunale di Bari, con una recente ordinanza di inizio estate 2022, si è espresso in merito alla compatibilità tra la disciplina prevista dal D.lgs. 231/2001 in tema di responsabilità degli enti con l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova.

  1. IL CASO

La vicenda vede coinvolta una S.r.l. Unipersonale chiamata a rispondere di omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, ex art. 25-septies D.lgs.231/2001.   Il difensore della società aveva chiesto la sospensione del procedimento con messa alla prova.

  1. IL RAGIONAMENTO SEGUITO DAL TRIBUNALE

Il Tribunale di Bari, prima di ammettere alla prova la società, si è soffermato sull’astratta ammissibilità di una società all’istituto della messa alla prova nel procedimento per l’accertamento della responsabilità dell’ente per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.

In primis, il Giudice ha ricordato come l’applicazione dell’istituto in esame possa essere chiesta dall’imputato ai sensi dell’art. 168 bis c.p. e 464 bis c.p.p. e come il D.lgs. 231/2001 non preveda nulla in tema di sospensione con messa alla prova.

Nel caso di specie, pertanto, l’accertamento sottoposto al giudice riguardava essenzialmente l’applicabilità dell’art. 34 D.Lgs. 231/2001 nella parte in cui prevede l’estensione delle disposizioni del codice di procedura penale agli enti, ove compatibili.

In altri termini, si è trattato di verificare se la richiesta di ammissione alla messa alla prova possa essere presentata anche dalla società incolpata di un illecito amministrativo dipendente da reato. 

Sul punto gli orientamenti sono contrastanti.

Una parte della giurisprudenza ritiene non applicabile l’istituto in esame agli enti in quanto la messa alla prova, come ribadito dalle S.S.U.U. con sentenza n. 36272/2016, consta di una doppia anima:

  1. è un istituto processuale perché l’imputato accedendo ad un procedimento speciale trae il vantaggio di ricevere una pena non detentiva;
  2. è altresì un istituto di carattere sostanziale dal momento che la prestazione di lavoro per pubblica utilità costituisce una sanzione non detentiva con scopi special-preventivi e rieducativi.

Così ragionando, tale parte della giurisprudenza ritiene che un’estensione di simile istituto agli enti determinerebbe una violazione del principio di riserva di legge e più in generale del principio di legalità in quanto sarebbe estesa ad un ulteriore soggetto una sanzione per questo non espressamente prevista.

Al contrario, altra parte della giurisprudenza, ha ritenuto errata la qualificazione della messa alla prova in termini di sanzione penale in quanto lo svolgimento del programma di trattamento è liberamente rimesso ad una scelta dell’imputato che potrà decidere di far cessare la messa alla prova con l’unica conseguenza che il processo riprenderà il suo corso.

In questi termini, l’istituto della messa alla prova fungerebbe da causa di estinzione della pena con sole conseguenze favorevoli per l’imputato venendo così sottratto al divieto di analogia, il cui fondamento è sostanzialmente quello di evitare gli effetti negativi per l’imputato di una disposizione non applicabile nei suoi confronti e che – invece – nel caso concreto rischierebbe di essere applicata, appunto, secondo un processo di interpretazione estensiva di tipo analogico.

Inserendosi in quest’ultimo filone interpretativo, il Tribunale di Bari ha dunque ritenuto compatibile l’istituto della messa alla prova con il sistema di responsabilità ex D.lgs. 231/2001, non derivando da ciò “alcuna violazione dei principi di tassatività e di riserva di legge, dal momento che il divieto di analogia opera soltanto quanto genera effetti sfavorevoli per l’imputato: la messa alla prova per l’ente determinerebbe, invece, un ampliamento del ventaglio di procedimento speciali a sua disposizione, consentendogli una miglior definizione della strategia processuale”.

Il Giudice ha poi sottolineato come l’introduzione del sistema di responsabilità da reato ex d. lgs. 231/2001 risponda “ad una logica di prevenzione del crimine, da perseguire proprio attraverso la rieducazione dell’ente: il d. lgs. 231/2001, cioè, tende a imporre all’ente che svolge una attività economica l’adozione di Modelli Organizzativi idonei alla prevenzione del rischio di reati commessi da persone fisiche legate all’ente che abbiano agito nell’interesse o a vantaggio di quest’ultimo. La ratio di politica criminale che ispira il d. lgs. 231/2001 non è la retribuzione fine a se stessa, né la mera prevenzione generale, ma la prevenzione speciale in chiave rieducativa: si vuole, cioè, indurre l’ente ad adottare comportamenti riparatori dell’offesa che consentano il superamento del conflitto sociale instaurato con l’illecito, nonché idonei, concreti ed efficaci modelli organizzativi che, incidendo strutturalmente sulla cultura dell’impresa, possano consentirgli di continuare ad operare sul mercato nel rispetto della legalità o, meglio, di rientrarvi con una nuova prospettiva di legalità”.

L’ammissibilità della messa alla prova per l’ente – prosegue il Tribunale – “non determinerebbe nemmeno l’elusione dell’art. 17 d. lgs. 231/2001, atteso che l’ambito di applicazione della norma citata non coincide affatto con quello della messa alla prova: l’art. 17, infatti, stabilisce un trattamento sanzionatorio più mite nell’ipotesi in cui, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’ente realizzi le cd. condotte riparatorie; la messa alla prova ha un oggetto ben più ampio, contemplando pure l’affidamento al servizio sociale per un programma che può comprendere attività di volontariato di rilievo sociale nonché la prestazione di pubblica utilità”.

Sul tema, infine, della necessaria predisposizione di un modello organizzativo per accedere alla messa alla prova il Tribunale ha evidenziato come “la finalità rieducativa dell’ente non è pregiudicata laddove quest’ultimo si doti del Modello prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, quand’anche ciò avvenga dopo la commissione del reato presupposto”.

Avv. Adamo Brunetti                                                               Avv. Angelo Marano

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