Cassazione Penale, Sez. III, 27 gennaio 2022, n. 16302
La pronuncia in esame costituisce una prima occasione per la Corte di Cassazione di pronunciarsi in ordine ad un caso di responsabilità della persona giuridica ex D.lgs. 8 dicembre 2001, n. 231, relativamente ai reati tributari quali delitti presupposto, come introdotti dalla Legge 157 del 2019 al nuovo articolo 25-quinquiesdecies del D.lgs. 231/2001, e modificati ulteriormente dal D.lgs. 75/2020.
1. Il caso.
La sentenza trae origine dal ricorso di una società per azioni avverso l’ordinanza di conferma da parte del tribunale del riesame di Milano del decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del medesimo tribunale, in quanto la società era stata incolpata dell’illecito amministrativo dipendente da reato relativo agli artt. 5 lett. a), 6 lett. a), 25-quinquiesdecies D.lgs. 231/2001, rispetto alla contestazione del reato di cui all’art. 2 del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, commesso nell’interesse e a vantaggio della società.
In particolare, il sequestro era relativo al presunto vantaggio patrimoniale conseguito dalla persona giuridica, relativamente all’IVA detraibile oggetto di contestazione.
2. La decisione della Cassazione.
La Suprema Corte ha rigettato tutti i motivi di ricorso, ivi incluso il punto sulla sussistenza dell’interesse quale criterio soggettivo di imputazione della responsabilità, consistente in un risparmio di spesa.
Rispetto a ciò, la Cassazione chiarisce che, innanzitutto, è costante l’orientamento di legittimità secondo il quale tale criterio soggettivo di imputazione, “debba essere indagato ex ante e consista nella prospettazione finalistica, da parte del reo-persona fisica, di arrecare un interesse all’ente mediante il compimento del reato, a nulla valendo che poi tale interesse sia stato o meno concretamente raggiunto” (Sez. Un., n. 38343 del 24 aprile 2014, P.G., R.C., Espenhahn, Rv. 261114; Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a., Rv. 274320; Sez. 4, n. 24697 del 20/04/2016, Mazzotti, Rv. 268066).
Inoltre, secondo i giudici di legittimità, non assume rilievo nel caso concreto la circostanza che il risparmio conseguito per la mancata adozione delle misure antiinfortunistiche sia stato minimo a fronte delle spese ingenti che la società affronta per la manutenzione e la sicurezza, per i motivi che seguono.
Il principio affermato in giurisprudenza, secondo cui, “ove il giudice accerti l’esiguità del risparmio di spesa derivante dall’omissione delle cautele dovute”, per poter affermare che il reato è stato realizzato nell’interesse dell’ente “è necessaria la prova della oggettiva prevalenza delle esigenze della produzione e del profitto su quelle della tutela dei lavoratori” (Sez. 4, n. 22256 del 03/03/2021, Canzonetti, Rv. 281276), non trova applicazione nella vicenda in esame. Ciò in quanto tale principio può operare soltanto “in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa delle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro” e in mancanza di altra prova che la persona fisica, omettendo di adottare determinate cautele, “abbia agito proprio allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica”.
Tali indici non sono stati riscontrati nel caso deciso dalla Corte.
3. Conclusioni.
A conclusione dell’iter argomentativo, la S.C. conclude per il rigetto e l’inammissibilità dei ricorsi presentati, sancendo il principio secondo il quale ove il giudice accerti l’esiguità del risparmio di spesa derivante dall’omissione delle cautele dovute, è necessaria la prova della oggettiva prevalenza delle esigenze della produzione e del profitto su quelle della tutela dei lavoratori per poter affermare che il reato è stato realizzato nell’interesse dell’ente, può operare soltanto in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa delle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro e in mancanza di altra prova che la persona fisica, omettendo di adottare determinate cautele, abbia agito proprio allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica.
Avv. Adamo Brunetti